Rifare l’Italia di Filippo Turati

In un momento topico per le scelte politiche, desidero ricordare nelle sue premesse e idee di fondo, il famoso discorso di Turati tenuto alla Camera il 26 giugno 1920.
Pronunciato quasi cento anni fa, sembra scritto ieri, non tanto per i singoli argomenti trattati quanto per la descrizione del malcostume dello Stato, della politica e dei capitalisti.

ELO

Il 26 giugno 1920 Filippo Turati pronuncia il suo discorso divenuto famoso dal titolo 

“Rifare l’Italia”

………Ha facoltà di parlare l’onorevole Turati: 

“ …………………L’idea madre del mio modesto discorso è semplice.

Vera oggi, come ieri, come domani; ma, nel mutare inevitabile dei tempi, diverso può esserne il punto di applicazione.

Se ogni lotta di classe é lotta essenzialmente politica e viceversa, è evidente che ogni politica trae colore e vigore dalla classe sulla quale essenzialmente si appoggia.

Ond’è che, rivolgendomi oggi alle classi borghesi, le quali, se anche non nelle proporzioni di una volta, hanno pur sempre la dirigenza della società, in un certo senso anch’io posso dire loro: oggi, o non più!

 Politica e tecnica. 

Il suffragio universale e il demagogismo

L’idea madre, che mi guida è questa: la politica è essenzialmente una tecnica.

I partiti e gli stessi governi servono gli eventi anziché dominarli; i partiti qui dentro giocano di abilità, cercano di scalzarsi, di farsela a vicenda.

Il suffragio universale, questa necessità che tutti abbiamo voluto, di cui siamo figli, ha generato, nella sua molteplice prole, un figlio cattivo: Il gesto demagogico. La gara, dirò meglio, dei gesti demagogici. 

Noi dovremmo, come Bruto, condannare a morte questo figliolo traditore. Noi dovremmo insorgere contro di esso. 

La politica non è Demagogismo.

Non dovrebbe essere questo; e lo sarà sempre meno quanto più i popoli diverranno consapevoli. 

La politica non è nell’agguato, non è negli intrighi, non è nell’arrembaggio dei Ministeri, non è nelle sapienti combinazioni di coulisses parlamentari, non è nelle competizioni degli uomini; non è nei suoi tonanti discorsi. 

E’, o dovrebbe essere, nell’interpretare l’epoca in cui si vive.

L’ora dell’espiazione. Dal vecchio al nuovo 

……………Ora, poiché ogni trapasso non è una linea matematica, ma una zona distesa nel tempo e nelle cose, ogni trapasso, anche se assume forme violenti, è sempre un assorbimento del nuovo nel vecchio e del vecchio nel nuovo, con questo vantaggio: che il vecchio non si rinnova e il nuovo non si invecchia. Questa è la rivoluzione. Chi è assorbito assorbe!

 Grecia capta ferum victorem caepit et artes intulit agresti Latio.

 

La riforma finanziaria e fiscale 

……………… il gradualismo dell’onorevole Giolitti è una magnifica cosa. 

Ma il gradualismo è una cosa ammessa da tutti quando la natura delle cose lo consente. Quando insomma c’è tempo e si può aspettare.

Ma voi avete lasciato camminare le cose così innanzi e in tale direzione, che davvero “dum romae consulitur” si minaccia l’espugnazione di tutte le Sagunto della società, di quelle che, premono a voi, ma anche di parecchie di quelle che premono a noi.

Oggi è il tempo di tutti i massimalismi.

Ma a voi non parlo del massimalismo socialista ma del massimalismo aritmetico.

( parla del deficit e del debito pubblico allora di poco sotto i 100 mld di lire) e continua:

Il solo rimedio, è nel trasformare l’economia, non la finanza del paese. ciò che voi ponete dopo,  deve venire prima o almeno contemporaneamente.

La crisi psicologica è causa ed effetto insieme della crisi economica.

Per tutte le riforme, fiscali, economiche vi occorrono organi di Stato sapienti e fedeli. Ora, da tutti i competenti anche da quelli che sono stati al governo, sento dirmi che questi organi sono spesso corrotti. La moralità delle amministrazioni è scaduta in modo fenomenale. 

In un vostro Ministero, un alto funzionario con la sfacciataggine che deriva dalla consuetudine del reato, per la richiesta di certi lavori, si offriva alla corruzione, ricattando per parecchie centinaia di migliaia di lire il sollecitatore. 

Il sollecitatore era ricchissimo ed avrebbe tratto profitto per milioni subendo il ricatto, ma da uomo onesto preferì denunciare il funzionario al ministro. 

Il ministro chiamò il funzionario e gli sottopose l’alternativa o firmare un atto di dimissioni oppure denuncia al procuratore del Re. 

Il funzionario allibito accettò di firmare. Ma poi ricorse al Consiglio di Stato sostenendo che la sua dimissione era stata coatta, quindi nulla, ottenne la riammissione nel posto e spinse la disinvoltura fino a sporgere querela contro il denunciatore.

L’elefantiasi burogratica ed il problema del Mezzogiorno

L’ elefantiasi burocratica diventa ogni giorno un problema più spinoso. Chi mai infatti avrebbe il coraggio di sfollare le amministrazioni buttando sul lastrico decine di migliaia di famiglie dopo avere, per tanti anni, predicato il celebre aforisma:” pochi impiegati responsabili e ben pagati”

Credo che dovremmo mettere allo studio forme di cointeressenza più estesa, fino a dare questi servizi a cooperative di impiegati quasi in appalto, sotto la vigilanza, beninteso, dello Stato da un lato e, dall’altro, della rappresentanza degli utenti, in modo da stimolare l’interesse dei lavoratori dello Stato. 

Il mezzogiorno è il gran vivaio, è quasi il solo vivaio di tutta la burocrazia italiana, di tutti i gradi, dal capo divisione ormai alla guardia carceraria. La difficoltà del problema burocratico è là; si tratta, al lavoro parassitico, malsano, turbolento, di sostituire in Italia la possibilità del lavoro produttivo, sano, che innalza l’uomo. 

Da noi, per esempio, nell’alta italia, regione industriale, si può dire che non vi sia un solo alunno dei nostri politecnici, delle nostre scuole superiori, ed anche delle scuole medie che aspiri ad un ufficio di Stato.

Questi uffici sono diventati uffici di collocamento per quelli che chiamerei, se la frase non fosse troppo barbina, la mano d’opera celebrale disoccupata, inadatta a qualunque utile servizio.

Sul terreno dell’economia, come su quello fiscale, tasse draconiane, confisca di sopra profitti, politica dei calmieri, monopoli di stato, tutto ciò ha già fatto le sue prove e poco più rimane da raspollare.

La gente soprattutto vuole vivere. La gente non economizza se non quando ha interesse a economizzare e il proletariato è relativamente più dissipatore della stessa borghesia.

Questa è la legge; e chi è più in basso nel livello morale, non può cercare che il godimento materiale.

Non ve altro modo di spingere all’economia che rendere accessibili ed appetibili alle masse i piaceri intellettuali e quindi una questione di educazione di civiltà di rinnovamento economico. La malizia umana è infinitamente più agile e potente di tutte le nostre grida.

Noi ci avvolgiamo in un tremendo circolo vizioso siamo ridotti a quel certo stato di malattia in cui ve da temere che al malato gli stessi rimedii nuocciano invece di giovare.

In sostanza il terribile disagio di cui soffriamo è dovuto a cause economiche.

I provvedimenti del governo non sono altro che espedienti di cassa, utilissimi come tali per prorogare il fallimento, finché siano possibili, ma fondamentalmente impotenti ad evitarlo. 

Più tassate e più impoverite.

Tanto più che il denaro che va allo Stato, alla burocrazia, al caro viveri degli impiegati non è certo il più redditizio. 

Al contrario lo Stato, di regola, assorbe più che non renda, esso forse è il più pescecane di tutti i pescecani.

Fatta questa riserva mi permetto di accennare ad alcuni altri cespiti, alludo alle successioni al vino e agli alcolici.

Cominciando da questi ultimi, l’esperienza ha insegnato che tutti i consumi voluttuari, proprio perché tali, possono essere tassati fino all’ultimo estremo, senza che il rincaro dei prezzi diventi proibitivo, pensate solamente ai tabacchi.

In generale il vizio è il migliore amico della Finanza.

Non contra hostem, ma pro hoste, a profitto dell’oste nemica, a aeterna auctoritas.

Non si riesce neppure a vietare la vendita del vino e dell’alcol ai ragazzi per i quali è un vero veleno e neppure ai malati negli ospedali.

Mi domando, ad esempio, perché non si è fatto nulla per incoraggiare l’industria delle conserve, dei mosti d’uva, il cui sviluppo permetterebbe di agevolare, senza danni immediati, la trasformazione delle coltivazioni dei vigneti, in certe plaghe  d’Italia, in altre e più utili coltivazioni, e vi risparmio tutto il resto che mi darebbe tanti spunti a un lungo discorso: soprattutto se potessi indugiarmi a quella che io uso chiamare la lotta del libro contro il litro nella quale purtroppo il litro è il nulla che si è fatto per la diffusione della cultura popolare libera.

Passiamo a parlare di successioni

Il Presidente del Consiglio si propone di colpire le successioni con una più intensa progressività. Benissimo. ma io gli domando: la progressività deve essere soltanto sulle cifre? o non vi è luogo ad istituire un’altra, più giusta, razionale, redditizia, progressività, che potrebbe spingersi fino alla confisca totale delle eredità: quella cioè sul grado nel tempo dei trapassi successori? 

 L’abolizione dell’eredità immediata non è affatto, dichiariamolo subito, un concetto socialista. Il socialismo vuole abolire il capitale in quanto permette di sfruttare il lavoro altrui non di abolire la donazione sia pure causa mortis.

L’eredità è il diritto di testare o di donare e possono essere uno stimolo al risparmio e al lavoro. Ma vi sono eredità, quelle che provengono per una specie di manomorta, dagli avi, da generazioni remote che viceversa costituiscono la forma più sfacciata di parassitismo, l’incitamento più detestabile all’indolenza, e causa persino del decadimento progressivo delle famiglie e della stirpe.

L’eredità che io ebbi dai miei genitori è sacra, sia sacra quella che io dovessi lasciare ai miei figli se ne avessi. Ma l’eredità che proviene da tre generazioni non ha più ragione sociale e civile di essere. Abolirla, passarla alla collettività, è rinforzare, non scemare, lo stimolo al risparmio, al lavoro perché io saprò che, se disperdo l’ eredità di mio padre e non riesco a ricostituire il patrimonio sciupato, i miei figli, o alla peggio i miei abbiatici, rimarranno senza il becco di un quattrino.

Ma anche questo non basterebbe, per quanto giusto e utilissimo i beni, passati allo Stato anziché all’individuo, costituiscono sempre un semplice spostamento di ricchezza nazionale. Il problema della ricchezza rimane intatto, col pericolo, già accennato, che i beni, incamerati dallo Stato quale è oggi, non si convertono in maggiori sperperi che se fossero passati a patrimoni privati.

Mi si obietta: ci vuole tempo.

Sicuro, ci vuole il tempo necessario ma ci vuole il tempo necessario per arrivare alla mèta ma per cominciare basta un atto risoluto di volontà e cominciare è risolvere il problema e dare la sensazione che noi vogliamo e sappiamo risolvere la nostra situazione e possiamo rassicurare tutti coloro che ci possono prestare denaro.

Perché i banchieri americani ci hanno chiuso gli sportelli?

Ci hanno chiuso gli sportelli perché noi non diamo loro sufficiente affidamento con la nostra politica di sapere alacremente produrre e pagare alle scadenze.

In altri termini la soluzione della crisi politica,  economica, morale, di regime, di trapasso chiamatela come meglio vi garba, consiste nel creare subito le condizioni economiche, politiche e morali per cui la nazione possa in breve tempo raddoppiare la sua produzione. 

L’Italia è una nazione povera, più povera delle altre nazioni europee. I coefficienti decisivi per la ricchezza di un paese sono la terra, compreso il mare, le miniere e la forza intelligente dell’uomo. Per la terra, l’Italia è poverissima; all’infuori della pianura padana non ha territorio pianeggiante irrigabile, è povera di ferro, carbone, la popolazione è eccessiva rispetto alla sua estensione.

Allora come fare? bisogna imitare gli altri stati con genialità latina, applicando i metodi e adattandoli al nostro suolo, al nostro clima, alla nostra psicologia del tutto diversa.

Il problema dell’Italia è l’ignavia della borghesia. La borghesia italiana, certo non tutta, bisogna distinguere fra borghesia e borghesia anche nel tassarla. Questo anzi è il punto più delicato del problema finanziario. Tagliare il cancro senza offendere la parte sana della borghesia. Di questa peggiore borghesia, la più procacciante, la più organizzata, più tenacemente gelosa del proprio egoistico interesse, di questa borghesia putrefatta fu sempre complice e prigioniero lo Stato.

Il quale non ebbe mai programmi propri, una visione indipendente dei problemi e fu sempre alla mercé di tutti gli interessi più insistenti, di questo fenomeno zootecnico sociale che esisteva del resto già da tempo. Lo Stato, i comuni le province per provvedere alla disoccupazione provocano ovunque lavori con criteri politici, con visioni economiche errate, corrotte da ragioni demagogiche le quali fanno sì che i lavori siano antieconomici e costituiscano una vera concausa all’imperversare dello sbilancio statale e nazionale.

I lavori sussidiati dallo Stato dovrebbero tendere soprattutto alla produttività. Ma ragioni politiche, localistiche, impreparazione tecnica, disordine amministrativo, burocratico, mancanza di organi coordinatori, fanno sì che il 90% di questi lavori siano praticamente improduttivi.

 Quindi rappresentano uno sperpero, un aumento dei debiti, un vero delitto contro il Paese.

I lavori pubblici decretati di recente, ricordo i 600 milioni per la disoccupazione, sono stati in gran parte lavori inutili e quindi oggi criminosi. Questi lavori oggi costano scandalosamente, e procedono con una lentezza incredibile. 

A tutti questi lavori passivi bisogna sostituire subito lavori produttivi. 

Ma questa è la tecnica, non è la cosiddetta politica come la si intende generalmente, perché invece la politica è questa: ogni Comune vuole allocare i propri disoccupati in casa propria; l’operaio in tante regioni non vuole emigrare neanche all’interno; vuole che il lavoro gli vada a casa, le camorre piccole e grandi sono infinite, le inframmettenze demagogiche  e la corruzione sono molteplici; l’ impreparazione tecnica e amministrativa è enorme; e più di tutto manca qualunque azione di insieme, manca la linea, il piano regolatore. e, vale a dire manca il cervello, e l’azione dello Stato è puramente spinale e, come dicono i fisiologi, riflessa: l’azione della rana cui fu mozzata la testa. 

Occorre un programma della nazione, non un programma semplicemente di governo.

Quali sono le nostre ricchezze natura? Si può dire che tutto si concentra nel problema idraulico. L’utilizzazione delle forze idriche e la trasmissione dell’energia a distanza, sono due scoperte fatte essenzialmente per l’italia. 

Ma cosa è sempre mancato? è mancato il coordinamento è mancata la contemporaneità, la solidarietà di insieme di questi provvedimenti, mancanza che ha reso inefficaci le iniziative, i provvedimenti presi isolatamente.

Ma il coordinamento suppone l’organo coordinatore, suppone che lo Stato abbia una visione sua, suppone la solidarietà degli organi esecutivi mentre noi non abbiamo neppure un elementare affiatamento fra i vari Ministeri.

Il paradosso dell’ Italia meridionale 

Alcuni teorici agrari ritengono che il 90% dell’Italia meridionale non sia suscettibile di grandi miglioramenti ma è un’opinione puramente agraria, non scientifica nel senso completo della parola. 

Ammettiamo pure che sia vero, resta il 10% che è migliorabile all’infinito e basterebbe a compensare, poiché il paradosso dell’ Italia meridionale è essenzialmente questo: che ivi sono coltivati i terreni non industrializzabili, onde automatico il latifondo, dove il terreno è lasciato inoperoso per sei mesi, per 1, 2 anni; e invece sono abbandonati i terreni fertili delle foci,del piano, delle valli dove la profondità di humus è enorme, dove il terreno è fertilissimo e dove il sole, il clima, la verginità del terreno, il limo che viene depositato garantirebbe una produzione decuplicata e prometterebbero veri tesori alla ricchezza del Paese.

Per effetto di codesto assurdo economico, tutta la vita meridionale è contro natura. Si abitano le alture e sono deserte le piane; le ferrovie corrono per le alture o a mezzacosta su tracciati impossibili, su terreni argillosi che franano, con stazioni a 20, 30 km dall’abitato, onde la vita selvaggia, l’emigrazione necessaria.

I proprietari terrieri hanno interesse a lasciare quei terreni a boscaglia perché non hanno né i mezzi né la capacità tecnica.

Questo stato di fatto, che la proprietà non può risolvere, sovverte tutta la civiltà e impedisce qualsiasi progresso economico quindi di riflesso sociale, politico, morale del Mezzogiorno. 

Le industrie non vi nascono perché manca ad esse ogni base, la topografia di quelle regioni che stanno su un duplice mare, onde avrebbero facile comunicazione con tutto il mondo, tutto questo è in pura perdita.

 Non solo è buttata via la terra ma anche il mare è buttato via.

Pigliamo qualche esempio fra i più significativi. 

La Sardegna ad esempio, isola sventurata, è un pascolo enorme, che nei periodi piovosi, per 8 mesi all’anno, potrebbe alimentare, su una data unità territoriale, poniamo, 100 capi di bestiame, ma, siccome negli altri mesi segue la siccità, essa non può che alimentarne 10 capi di bestiame. La sua potenzialità zootecnica è ridotta da 100 a 10. 

Se il bestiame aumenta, bisogna ucciderlo o trasportarlo sul continente o far venire i foraggi carissimi da fuori. Ora basterebbe che la zona industrializzata creasse una riserva di fieno, che potrebbe dare fino a 12 tagli all’anno, per decuplicare la potenza zootecnica dell’isola per arricchire la Sardegna. Essa così avrebbe a dovizia carne, latte e prodotti derivati, lana, pelli, foraggi, uno sviluppo industriale ricchissimo.

In Sicilia, ad esempio, la Piana di Catania: 50.000 ettari ( 500 km quadrati) che dovrebbero avere 300, 400 abitanti per km quadrato, dunque almeno 150.000 abitanti. ebbene, essa non ha un solo comune, non ha un solo abitante, la popolazione si addensa a 800 m, 1000 m di altitudine nei comuni di Centuripe, Nicosia eccetera.

In Basilicata abbiamo la piana di Metaponto 60.000 ettari pari a 600 km quadrati io non vi sono mai stato ma mi dicono che la stazione di Metaponto è nel deserto.

In Calabria, nelle valli del Crati abbiamo la famosa Piana di Sibari; le paludi Pontine alle porte di Roma con 100 mila ettari pari a 1000 km quadrati dopo i tanti successivi processi sono sempre ancora il deserto; nelle Puglie in Capitanata sono ugualmente centinaia di migliaia di ettari malarici, a coltivazione estensiva, insomma abbiamo oltre un milione di ettari da mettere a valore.

Il mezzogiorno, contro un pregiudizio diffuso, è ricchissimo di acque, soltanto esse sono male distribuite. La sua redenzione è tutta nei laghi artificiali. Ma chi potrà farli? lo Stato da solo non basta! il solo industriale non ha interesse se non per la singola azienda.

E’ noto che alla bonifica idraulica ed igienica, compito dello Stato, delle Province, dei Comuni, deve succedere la bonifica agraria, senza di che la prima è in pura perdita.

Nel mezzogiorno è stato tutto un lavoro di Sisifo. Si sono mandati alla malora centinaia di milioni per tre ragioni:

1° perché si applicò stupidamente alle bonifiche meridionali il tipo della bonifica Padana dove abbiamo Alpi, ghiacciai, fiumi pensili etc

2° le bonifiche si fecero a scopo per lo più elettorale o per la disoccupazione e cioè per dare lavoro e non per intensificare la produzione. Così i lavori si facevano a spizzico secondo le influenze politiche e la bonifica fatta oggi era distrutta dalla piena di domani.

3° perché soprattutto alla bonifica idraulica i proprietari non facevano mai seguire la bonifica agraria e non lo facevano perché non vi hanno interesse; perché la bonifica distrugge il feudo, distrugge il latifondo, distrugge la ricchezza inoperosa e la soggezione cieca del contadino tutto ciò su cui si ingrassa la proprietà; la bonifica uccide il grosso proprietario.

Il proprietario per definizione è il nemico dell’umanità.

Ogni progresso civile è opera di un attacco al diritto di proprietà.

Sono soprattutto le ragioni politiche che impedirono la messa in valore dei terreni meridionali: onde l’importanza essenziale del lato sociale, della soluzione dei problemi che riguardano i rapporti tra capitale e lavoro.

Il proprietario lasciatemelo ripetere è naturalmente il nemico della civiltà. Esso farà sempre ostruzionismo e non potrà fare diversamente, spinto dall’istinto e dalla necessità della propria conservazione.

Esso vive del malanno del prossimo e del malanno del paese.

Noi siamo poveri e incivili perché vogliamo esserlo. 

Occorre un piano regolatore ma tutto questo non si fa senza l’uomo. 

E l’uomo è l’operaio, il proletario, lo scontento, il ribelle, il rivoluzionario, che sarà tale finché non ne avremmo fatto il padrone del lavoro e della produzione.”

Biografia: “Rifare l’Italia” edito da Piero Lacaita Editore di Filippo Turati introduzione a cura di Carlo G. Lacaita

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